Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile: “Necessaria una piattaforma per l’engagement delle imprese nella cooperazione internazionale”
E’ appena iniziato un anno intenso per chi si occupa di sviluppo sostenibile e vuole portare i temi dell’Agenda 2030 all'attenzione della politica, della società civile e del mondo imprenditoriale italiano. E’ il caso dell’ASviS - Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - che nell'autunno appena trascorso ha portato a casa l’approvazione
da parte del Consiglio dei Ministri della Strategia nazionale di sviluppo
sostenibile per mettere l’Italia sul sentiero delineato dall'Agenda 2030 delle
Nazioni Unite e che avrà il compito di tenere alto l’impegno delle istituzioni
anche dopo il rinnovamento della compagine governativa.
Per capire meglio cosa si sta muovendo nel mondo delle
imprese e quanto queste stiano guardando alla sostenibilità e alla cooperazione
internazionale, abbiamo intervistato l’Alleanza che riunisce oltre 180 tra le
più importanti istituzioni e reti della società civile. A rispondere alle
nostre domande la dott.ssa Gemma Arpaia, coordinatrice del gruppo di lavoro
ASviS "Partnership per gli obiettivi”.
Nel corso del 2017 sta crescendo in Italia l’attenzione sui
temi della sostenibilità e degli SDGs. Dal riscontro delle attività che portate
avanti come Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, qual è oggi il grado
di interesse delle aziende italiane sull’Agenda 2030?
Il mondo economico, produttivo e finanziario italiano si sta
dimostrando sempre più sensibile all’importanza degli obiettivi di sviluppo
sostenibile. Il Patto di Milano, sottoscritto con ASviS da alcune delle più
importanti confederazioni imprenditoriali italiane (Alleanza delle Cooperative
Italiane, Cia, CNA, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio,
Confindustria, Febaf, Unioncamere, Utilitalia) sta lavorando a importanti
iniziative di sensibilizzazione, formazione e raccolta di buone pratiche
rispetto all’Agenda 2030. Si tratta di un segnale importante: non ci sono solo
le grandi imprese adesso a parlare di questi temi, tra le quali annoveriamo nel
nostro Paese alcuni campioni mondiali, ma anche il mondo delle PMI si sta
impegnando con convinzione. Per non parlare del comparto finanziario: secondo
una recente indagine del Forum per la Finanza Sostenibile, aderente all’ASviS,
cresce l’attenzione ai temi ambientali, sociali e di governance nelle scelte di
investimento: nel 2013 il 21% dichiarava di tenerne sempre conto nell’acquisto
di un prodotto, nel 2017 questo dato sale al 42%.
La cooperazione allo sviluppo dovrebbe essere il principale
contributo italiano per rafforzare i mezzi di attuazione e il partenariato per
il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo a livello globale. Questa
componente rilevante sembra però abbastanza marginale anche nel vostro recente
rapporto 2017. In che modo l’Italia può dare un maggiore e migliore contributo
al raggiungimento degli SDGs a livello globale?
Asvis ha impostato il suo rapporto su tre aspetti: un quadro
su impegni, politiche e trend internazionali rispetto all’Agenda 2030, un
quadro della posizione, di luci e ombre, dell’Italia sull’Agenda, una serie di
proposte concrete per avanzare verso il raggiungimento dei goal. Perciò il
rapporto ha preferito non avere una strutturazione schematica sui 17 goal,
seguendo indicatori e misurazioni che già avvengono in sedi globali. Questo può
rendere poco agevole individuare componenti specifiche come il ruolo e il peso
della cooperazione allo sviluppo - intesa come target 17.2 - nella lettura del
rapporto, a cui pure è dedicato uno spazio specifico che ne rileva la
sostanziale staticità se pure con un leggero trend positivo, ma viene comunque
evidenziata, in un quadro complessivo di tutti gli obiettivi, la dimensione
globale o “esterna” delle politiche dell’Italia sulla sostenibilità. Per
esempio, tra le proposte concrete avanzate del rapporto, ci sono diverse azioni
raccomandate su temi prioritari come governance, diritti e lotta alle
disuguaglianze, migrazione e sviluppo, salute e istruzione, agricoltura
sostenibile, filiere di produzione e commercio sostenibile attraverso la
cooperazione internazionale.
Come vedete il ruolo delle aziende italiane nella
cooperazione internazionale anche alla luce della nuova legge 125/2014? Registrate
una sensibilità diversa o un interesse crescente del settore privato profit ad
attivarsi in questo ambito?
In Asvis registriamo certamente una crescente sensibilità al
possibile ruolo delle aziende nella cooperazione internazionale, ma soprattutto
da parte di altri attori più che dalle aziende stesse. Le aziende italiane
stanno mostrando un interesse crescente ai temi della sostenibilità, ma non
ancora sul versante “globale” - se non per poche grandi imprese. Ancora non si
è creata una vera piattaforma per l’engagement delle imprese nella cooperazione
internazionale, ma la sensibilità di altri protagonisti storici della
cooperazione, istituzionali, della società civile, di organizzazioni di
rappresentanza dell’impresa e del mondo del lavoro, dell’economia cooperativa e
solidale, stanno certamente aiutando a creare un clima che favorisce l’impegno
delle aziende, dando praticabilità da quanto previsto dalla L.125/2014.
Nell'esperienza delle organizzazioni non governative
impegnate nella cooperazione allo sviluppo le aziende hanno spesso contribuito
attraverso la filantropia. Oggi al livello internazionale il non profit e le
istituzioni si aspettano che le aziende siano sempre più proattive nelle
partnership per lo sviluppo.
Dal vostro osservatorio c’è una tendenza in questo
senso in Italia?
Non si registra ancora una spiccata proattività delle
aziende, ma certamente cogliamo una maggiore reattività alle proposte che
vengono dalle ong alle imprese, mentre forse è ancora scarsa la reattività
alla, altrettanto limitata, proposta delle istituzioni (per esempio, attraverso
l’AICS con il primo bando “pilota” per il settore profit). Riteniamo comunque
che l’ampiezza che il dibattito internazionale sulle partnership
pubblico-privato e sul ruolo delle aziende per lo sviluppo ha assunto negli
anni più recenti, e le pratiche che le cooperazioni bilaterali di diversi paesi
hanno attivato e che la stessa CE sta avviando, spingerà le aziende italiane a
guardare ad attività di cooperazione internazionale come parte del proprio core
business, e non più come un’attività accessoria di filantropia o di
responsabilità sociale.
Secondo
la vostra esperienza, cosa potrebbe essere fatto di nuovo e/o di diverso per
favorire e promuovere il ruolo delle aziende nella cooperazione allo sviluppo e
più in generale nelle sfide dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030?
Per la cooperazione allo sviluppo, come abbiamo raccomandato
nel Rapporto Asvis 2017, occorre impostare il partenariato pubblico-privato in
maniera coordinata e coerente con un approccio allo sviluppo locale che delinei
i ruoli e le responsabilità dei partner, nonché la chiara distribuzione dei
benefici e dei rischi finanziari e non finanziari tra il partner pubblico e il
privato. Siamo ancora a livello di “recitazione di un mantra” sull’importanza
del settore privato per lo sviluppo, con posizioni talvolta ideologiche di
contrarietà o di appoggio incondizionato. Per esempio un aspetto ancora troppo
trascurato è la contestualizzazione del PPP o dell’attività di un’azienda in uno
specifico paese partner: sono variabili significative la capacità dello Stato
dove avviene l’intervento di garantire una corretta concorrenza, di gestire la
redistribuzione attraverso la fiscalità e la spesa pubblica, di combattere la
corruzione e l’informalità del mercato del lavoro. Occorre dare vita a
piattaforme o tavoli di lavoro dove le istituzioni preposte prioritariamente
alla cooperazione (AICS, DGCS, CDP) e gli attori profit e non-profit possano
definire insieme analisi e proposte per i singoli paesi.
Giovedì 11 Gennaio 2018