I dati di Open Cooperazione nell’inchiesta sulle ONG del Corriere Buone Notizie
«Le economie della fiducia», è questo il focus della prima puntata dell’inchiesta che il Corriere Buone Notizie dedica tra luglio e agosto al mondo delle ONG. Un articolo di Marta Serafini accompagnato da una
bellissima info-grafica interamente realizzata con i dati di Open Cooperazione.
Viaggio nel mondo delle ong: chi sono, di chi (e perché)
fidarsi?
Quasi 20 mila addetti ai lavori, 81 mila volontari attivi e
oltre duemila progetti realizzati in oltre cento Paesi. É la radiografia delle
Ong italiane, protagoniste di una seconda «estate calda» per le vicende legate
ai soccorsi in mare ma anche perché promotrici di un processo di revisione
interna legato al tema della trasparenza. Da un lato la narrativa della
politica che sta influenzando in negativo il livello di fiducia dell’opinione
pubblica nei confronti di chi fa del bene e che ha già causato un calo delle
donazioni. Dall’altro le accuse di abuso sessuale ai dipendenti di Oxfam ad
Haiti che hanno costretto il settore a una revisione dei suoi principi.
Risultato, nel mondo della cooperazione si è aperto un dibattito per rivedere i
processi di selezione del personale e della gestione dei fondi. Riunioni
interne, confronti e dibattiti. «Sono necessarie nuove regole e nuovi strumenti
per salvare un sistema economico che proprio sulla fiducia si basa», è la
parola d’ordine. Ed ecco perché la trasparenza diventa il principio cardine del
settore a tutti i livelli, da quello economico fino a quello della
comunicazione. «Bisogna partire dai dati, dal fact checking (la verifica dei fatti) e dal debunking (il processo con cui si smontano le bufale)», spiega
Silvia Stilli, portavoce Aoi, associazione organizzazioni italiane di
cooperazione e solidarietà internazionale.
La trasparenza
Uno dei miti
più diffusi è che le Ong abbiano finanziatori occulti e che siano al servizio
di un piano per favorire i flussi migratori. Una leggenda? Per la loro stessa
definizione, le organizzazioni non governative non dipendono da alcun governo o
entità politica o partitica. Alcune Ong partecipano a bandi pubblici, altre per
loro stessa scelta decidono di dipendere esclusivamente dai donatori privati.
«In entrambi i casi le organizzazioni non governative che si occupano di
cooperazione nei Paesi in via di sviluppo, in Italia devono ottenere il
riconoscimento da parte del ministero degli Affari Esteri per poter beneficiare
dei contributi della cooperazione italiana (al 2016 quelle registrate sono 217,
ndr)», sottolinea Stilli. Il riferimento è alla legge 49, prima legge di
regolamentazione della categoria del 1987, testo poi rivisto nel 2014 con
l’obiettivo di mettere insieme tutti gli attori, dagli enti locali ai privati,
ognuno nella sua specificità per garantire maggiore trasversalità su tutti i
settori di azione. Per quanto riguarda lo status giuridico, bisogna distinguere
tra organizzazioni con sede in Italia (e sono la maggior parte) da quelle che
invece hanno sede all’estero ma operano anche in Italia (una strettissima
minoranza). Esistono poi Ong che fanno parte di network internazionali (come
Medici Senza Frontiere o Save the children) che hanno sedi operative anche nel
nostro Paese e che dunque rispondono alle leggi italiani. Cinque (ActionAid,
CBM, Save the Children, Terre des hommes e VIS,) sono iscritte al Cini, il
coordinamento italiano del network internazionali. Per quanto riguarda la
trasparenza dei bilanci, va sottolineato poi come la maggior parte delle Ong
(il 73 per cento) renda pubblica la lista dei donatori privati, ma non esiste
una legge che le obblighi a rendicontare.
Non solo soccorso in mare
Altro mito da
sfatare è che le Ong in Italia si occupino solo di soccorso in mare e di
assistenza ai migranti. Se si scorre la classifica dei settori di intervento
compilata da Open Cooperazione, si scopre come il primo posto sia occupato
dall’educazione, seguita dalla formazione e dalle attività sanitaria mentre
l’assistenza ai migranti è solo al decimo posto. «Molte di queste attività sono
destinate anche alla contrasto della povertà agli italiani. Un esempio su
tutti? Gli ambulatori ambulanti aperti da Emergency che offre assistenza medica
ai senza tetto e alle persone in difficoltà», replica Stilli. E ancora. Spesso
in queste ore abbiamo sentito dire che le Ong attive nel soccorso in mare sono
tutte straniere.«Sbagliato anche questo. Alcune organizzazioni italiane
collaborano con le agenzie internazionali o con altre Ong per i soccorsi in
mare», sottolinea ancora Stilli. E si va da Intersos presente con Unicef sulle
navi della Guardia costiera italiana fino alla collaborazione di Emergency con
il Moas, avviata nel 2016, poi terminata o quella di Cospe con Sea Watch. «Non
c’è alcuna distinzione tra chi fa soccorso in mare e chi opera a terra. Siamo
tutti parte di una stessa famiglia di operatori che hanno a cuore l’interesse
di chi ha più bisogno», conclude Stilli. Chiude il debunking, il capitolo inchieste giudiziarie iniziate l’anno scorso. E qui sono gli
atti a parlare. A partire dalla primavera del 2017 la procura di Catania ha
messo nel mirino le navi delle Ong e gli equipaggi accusandoli di complicità in
traffico di esseri umani. Fin qui però non è stato effettuato nessun arresto,
mentre delle due navi sequestrate — la Iuventa della Ong tedesca Jugend Rettet
e la Open Arms della Ong spagnola Proactiva Open Arms — solo la prima rimane
ferma mentre per la seconda è stato ordinato il dissequestro. Così, mentre le
parole continuano a volare, gli addetti ai lavori lottano per difendere il loro
settore. Un settore che — è doveroso ricordarlo — dal 2014 ha incrementato del
31 per cento i posti di lavoro creati. Al servizio degli altri.
Giovedì 26 Luglio 2018