Privato profit nella cooperazione, dalla filantropia al partenariato

Privato profit nella cooperazione, dalla filantropia al partenariato

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e le recenti politiche di cooperazione e sviluppo a livello globale chiamano a gran voce il settore privato profit e chiedono una sua attivazione fattiva nella lotta alla povertà e nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Anche in Italia le aziende di varie dimensioni e natura sono state recentemente legittimate ad operare nella cooperazione allo sviluppo grazie all'approvazione della nuova legge sulla Cooperazione allo sviluppo a fianco delle organizzazioni della società civile, tradizionalmente attive della cooperazione e nell'aiuto umanitario.
Nonostante però se ne parli ormai da qualche anno, il coinvolgimento del settore privato profit nella cooperazione allo sviluppo non è scontato e tanto meno immediato. A quasi tre anni dall'approvazione della legge 125 che apre la strada al settore privato profit nella cooperazione, uno studio commissionato dall’AICS rileva un’attivazione delle imprese italiane molto bassa e concentrata tra le aziende di grandi dimensioni.
È in questo contesto che abbiamo chiesto a Patrizia Giorgio, Program Manager di Fondazione Sodalitas, quale sia lo stato dell’arte del coinvolgimento delle aziende italiane nella cooperazione.  

1. Dal riscontro delle attività che portate avanti come
Fondazione Sodalitas, qual è oggi il grado di interesse delle aziende italiane verso i temi della sostenibilità e degli SDGs?
 
Da alcuni anni osserviamo una sensibilità sempre più accentuata verso il ruolo che proprio le imprese private possono avere nel ripensare in chiave sostenibile il modello di sviluppo, così come richiesto dalle Nazioni Unite approvando l’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile e i relativi 17 SDGs. L’attuazione dell’Agenda richiede un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società, dalle imprese al settore pubblico, dalla società civile alle università…. Oggi è infatti forte e diffusa l’aspettativa che le imprese private assumano un ruolo a tutti gli effetti “pubblico”, e contribuiscano in termini sostanziali a proteggere i beni da cui più dipende il benessere degli individui e delle comunità: come l’educazione e l’istruzione, l’occupabilità e le condizioni di lavoro, l’inclusione sociale e l’accesso ai servizi di welfare, la protezione delle risorse naturali. A questa aspettativa le imprese rispondono integrando la Sostenibilità nelle strategie e nei processi, e adottandola come un criterio-chiave per assumere tutte le decisioni che impattano sui propri stakeholder.  
Il World Business Council for Sustainable Development che ha stilato una guida pratica (http://www.wbcsd.org/Overview/Resources/General/CEO-Guide-to-the-SDGs) che aiuti i leader aziendali ad allineare le proprie strategie agli Obiettivi di sviluppo sostenibile, ha sottolineato come non integrare gli SDGs nelle strategie d’impresa potrebbe rivelarsi un rischio di lungo termine. Le imprese dovrebbero riuscire a usare gli SDGs come strumenti attraverso le quali tradurre i bisogni globali in soluzioni di business, sbloccando risorse e posti di lavoro.  
Il settore privato ha un ruolo critico da giocare come fonte finanziaria, come driver di innovazione e sviluppo tecnologico, e come motore chiave per la crescita economica e l’occupazione È inoltre importante tenere presente che le imprese con un minimo di 500 dipendenti e/o di pubblico interesse, a decorrere dall'esercizio 2017, dovranno rendicontare le informazioni sugli impatti non finanziari riguardanti aspetti ambientali e sociali, un passo importante per far crescere la cultura della sostenibilità anche in Italia.  

2. Come vedete il ruolo delle aziende italiane nella cooperazione internazionale anche alla luce della nuova legge 125/2014? Registrate una sensibilità diversa o un interesse crescente ad attivarsi come settore privato profit in questo ambito?
 
Che la partecipazione del privato profit sia indispensabile nella lotta alla povertà, è un dato ormai conclamato, contenuto anche nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Anche la cooperazione internazionale sia dell’Europa che dell’Italia, prevede oggi, in limiti e a condizioni ben precise, e nel pieno rispetto delle regole della CSR e delle linee guida OCSE, l’inserimento del privato profit nei programmi di cooperazione allo sviluppo, con possibilità sia di finanziamenti che di prestiti agevolati.
La disponibilità di imprese private, istituzioni e organizzazioni non-profit a sentirsi parte di un unico sistema, e quindi a lavorare insieme per la tutela della comunità da cui più dipende il futuro di tutti, rappresenta una condizione fondamentale di sviluppo. Questo orientamento diventa ancora più necessario quando le imprese operano nei Paesi che lottano per lo sviluppo dove, perseguendo le loro finalità di apertura di nuovi mercati e di profitto, possono impattare concretamente sulla riduzione della povertà e vengono percepite dalle comunità e dalle istituzioni locali come agenti di sviluppo.
La recente Riforma della cooperazione internazionale, introdotta dalla Legge 125/2014, rientra proprio in questo scenario. La Riforma, come sua principale novità dal nostro punto di vista, accredita infatti per la prima volta le imprese private a scopo di lucro tra i soggetti del sistema della cooperazione allo sviluppo italiana. Lo sviluppo di un progetto di cooperazione internazionale in partnership tra imprese e organizzazioni non governative apre nuove e vantaggiose prospettive per tutti gli Stakeholder coinvolti. L’impresa si rende conto che lavorare nei PVS secondo il modello della cooperazione internazionale può generare un valore economico misurabile, che si accompagna all’ingresso in nuovi Paesi, alla possibilità di crescere nei Paesi in cui è già presente, all’opportunità di qualificare il proprio sistema di relazioni, e di innovare la propria capacità di stare sul mercato.  

3. Cosa potrebbe essere fatto di nuovo e/o di diverso, secondo voi, per favorire e promuovere il ruolo delle aziende nella cooperazione allo sviluppo come previsto dalla nuova legge?
 
È importante avere ben chiaro che un’impresa che vorrà impegnarsi nella cooperazione, esplorando mercati a basso reddito dove coniugare attività di business e raggiungimento di obiettivi di sviluppo, dovrà avere una sua precisa strategia e pianificazione aziendale, a prescindere dalle opportunità derivanti da strumenti dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) o di altri donatori. Come già ribadito, il contesto in cui si agisce è quello della cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, che differisce dalle altre tipologie di intervento possibile nei PVS per le imprese, quali ad esempio l’internazionalizzazione, la delocalizzazione o la filantropia. È pertanto fondamentale che vi sia un supporto alle imprese che vogliamo impegnarsi in questa tipologia di progetti affinché le azioni implementate siano coerenti con i principi della cooperazione internazionale ed efficaci.  

4. Nell'esperienza delle organizzazioni non governative impegnate nella cooperazione allo sviluppo le aziende hanno spesso contribuito attraverso la filantropia. Oggi al livello internazionale il non profit e le istituzioni si aspettano che le aziende siano sempre più proattive nelle partnership per lo sviluppo. Dal vostro osservatorio c’è una tendenza in questo senso in Italia?
 
Negli ultimi anni la spinta dell’impresa alla creazione di valore condiviso per perseguire gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, ha reso ancora più evidente la necessità di efficaci forme di intervento nella comunità che coinvolgano soggetti diversi proprio con l’obiettivo di migliorare le condizioni economiche e sociali della comunità in cui l’impresa implementa il proprio business. Si è passati da un ruolo passivo dell’impresa attraverso azioni di filantropia pura a un ruolo sempre più attivo che va dalla filantropia strategica a co-protagonisti nello sviluppo di progetti, dove le imprese agiscono non più come mero donatore, ma come partner in grado di contribuire allo sviluppo dei progetti, in una vera e propria forma di co-creazione intesa come modalità di ideazione e sperimentazione di iniziative e di servizi tra diversi soggetti economici e sociali, portatori di risorse ed esperienze complementari. Solo attraverso una stretta collaborazione tra diversi soggetti che si impegnano volontariamente e reciprocamente in relazioni innovative per perseguire obiettivi condivisi è possibile intraprendere un percorso di crescita inclusiva e sostenibile. Le partnership multistakeholder si sono rivelate essere uno strumento strategico ed essenziale per rafforzare il contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile.  

5. Alcuni mesi fa avete presentato una guida sulla partnership profit-nonprofit nella cooperazione frutto di un lavoro congiunto tra ONG e imprese. Che feedback avete avuto di quell'interessante lavoro? Ci saranno sviluppi futuri?
 
Come sottolineato all’interno della Guida dalla nostra Presidente, Adriana Spazzoli, il documento si propone innanzitutto di suggerire percorsi, strumenti e riferimenti per facilitare l’ideazione e la realizzazione di progetti in partnership tra le Imprese e le ONG come suggerito dalla Riforma. Siamo ovviamente consapevoli che ogni nuovo standard, come questa Guida ha la ambizione di proporsi, richiede, per poter essere pienamente attuato e non rimanere sulla carta, la messa a punto dalle esperienze reali di chi opererà sul campo. Senza adeguate sperimentazioni ed implementazioni, sarebbe forte il rischio che tutti i traguardi indicati dai 17 SDGs, che sono il principale riferimento e i cui obiettivi fatti propri dalla stessa Riforma della cooperazione internazionale rimangano sulla carta. Crediamo che questa Guida alle Partnership possa inoltre contribuire ad un importante cambiamento culturale, rispetto alla relazione profit-nonprofit.  
I feedback sono stati finora positivi, la guida è infatti stata riconosciuta come una base operativa utile per orientarsi e comprendere i processi necessari per implementare un progetto di questo tipo, in particolare per le PMI.
C’è ovviamente ancora tanto lavoro da fare. Il nostro obiettivo è di diffondere la metodologia proposta nella Guida a livello nazionale cercando di sensibilizzare le imprese sulle opportunità che la nuova legge può offrire loro.



Mercoledì 5 Luglio 2017